L’ANTIBIOTICO-RESISTENZA

Volenti o nolenti spesso,e dico subito troppo spesso e con spaventosa superficialità,nella pratica dell’allevamento si fa uso di antibiotici. Alla luce di ciò sarebbe il caso di darsi qualche regola dettata dalla conoscenza e dal buon senso nell’utilizzo degli stessi.

Lungi da me la voglia di insegnare qualcosa a qualcuno,scrivo qualche riga per fare un po’ di chiarezza sull’argomento,in particolare sull’antibiotico-resistenza,sperando di essere di aiuto a qualche allevatore. Il problema più grande che si prospetta all’orizzonte per l’uso di antibiotici e chemioterapici(un tempo,e spesso ancora oggi,si era soliti distinguere antibiotici e chemioterapici,i primi naturali,i secondi di sintesi;tuttavia oggi non si può tracciare sempre un limite ben definito tra i due,in quanto parecchi dei primi sono ottenuti per sintesi o semi-sintesi) è sicuramente il fenomeno della resistenza batterica;fenomeno questo che nei paesi occidentali sta creando seri problemi nella pratica clinica umana,e ultimamente sta destando preoccupazione anche in quella veterinaria per quanto riguarda gli animali da reddito,in particolare pollame.

La consapevolezza della gravità di questo problema è testimoniata dalle numerose iniziative intraprese di recente in diversi Stati membri dell’Unione Europea e,in ambito internazionale,dall’OMS. Tali iniziative riguardano ovviamente la medicina umana e quella veterinaria limitatamente agli animali da reddito come detto in precedenza,ma il fenomeno della resistenza batterica è già stato ampiamente documentato anche negli allevamenti di uccelli ornamentali,in particolare canarini. Nonostante il problema delle resistenze batteriche sia apparso subito dopo l’introduzione della penicillina nella pratica clinica,soltanto da alcuni anni questo fenomeno è stato preso seriamente in considerazione.

L’aumento delle resistenze batteriche agli antibiotici rende a volte difficile la ricerca di un trattamento efficace contro le infezioni batteriche. Vediamo innanzitutto quale dovrebbe essere l’iter che porta un allevatore ad usare un antibiotico dopo aver notato la presenza di uno stato morboso su uno o più soggetti all’interno del suo allevamento. Quello che mi preme sottolineare a questo proposito è il principio che la scelta del farmaco va desunta dalle prove batteriologice di identificazione dell’agente etiologico e di studio della sua sensibilità ai vari farmaci antibatterici,tanto per intenderci esami colturali con relativi antibiogrammi. Infatti nella maggior parte dei casi di malattie da infezione che ricorrono nella pratica,la diagnosi clinica(dimagrimento,feci liquide,…)non comportano necessariamente l’identificazione dell’agente etiologico e comunque anche quando comporti l’identificazione dell’agente etiologico(ad esempio un particolare stipite,o ceppo, di E.coli),non consente di giudicare a priori della sua sensibilità ad un determinato farmaco antibatterico. Eccezioni tollerabili a quanto detto sono rappresentate dalle situazioni in cui la gravità del caso non consente di dilazionare l’inizio della terapia per il tempo necessario all’espletamento delle indagini batteriologiche o dai casi in cui non sia possibile servirsi nell’immediato di un laboratorio. Nel primo caso comunque,le indagini tese all’identificazione dell’agente etiologico verranno avviate prima dell’inizio della terapia antibiotica e la terapia iniziata verrà mantenuta o modificata a seconda dei risultati che le indagini stesse forniranno.

Purtroppo la terapia antibatterica viene di solito eseguita ciecamente con i così detti antibiotici a largo spettro o con associazioni di antibiotici rispettivamente attivi contro i Gram-positivi e contro i Gram-negativi,il che,anche nei casi in cui il trattamento abbia successo,comporta un’inutile riduzione della popolazione batterica normale dell’organismo con le conseguenze che da tale squilibrio possono derivare,espone l’organismo all’azione tossica di più farmaci e impone una spesa superiore a quella realmente necessaria.

E’ il caso ora di definire specificatamente di cosa si parla quando trattiamo di “antibiotico-resistenza”.
Diciamo che uno stipite batterico è resistente ad un farmaco quando è in grado di moltiplicarsi in presenza di concentrazioni del farmaco che risultano inibitorie per la massima parte degli stipiti della stessa specie o,operativamente,quando uno stipite batterico sia in grado di moltiplicarsi in presenza di concentrazioni del farmaco pari a quelle massime raggiungibili nel corso dell’impiego terapeutico.


Tale resistenza viene acquisita ex novo come risultato di una modificazione del menoma dello stipite sensibile;i meccanismi mediante i quali tale fenomeno si realizza sono fondamentalmente due:la mutazione ed il successivo successo riproduttivo dei mutanti per semplice “selezione darwiniana”,o l’acquisizione di determinanti genetici,in parole povere l’ingresso nella cellula di materiale genetico estraneo che aiuta il batterio nel non soccombere all’antibiotico.
Per completezza di discorso bisogna riportare la comparsa di resistenze anche tra i miceti. La comparsa di tali resistenze è nel complesso meno frequente che nei batteri. Anche nei miceti,tuttavia,la resistenza può svilupparsi come risposta ad una pressione selettiva esercitata dall’uso del farmaco a dosaggi appropriati e non.

Cosa può fare l’allevatore nel suo piccolo per ovviare a questo problema?

Oltre ovviamente ad usare gli antibiotici esclusivamente nei casi di conclamata necessità,e quando possibile dopo esami colturali ed antibiogramma,possibili strategie contro le resistenze batteriche potrebbero essere la rotazione degli antibiotici e la diminuzione dell’uso di un antibiotico verso il quale si sono sviluppate o si stanno sviluppando elevate percentuali di resistenza(a riguardo un ruolo primario dovrebbero avere i laboratori di analisi coordinati dagli Istituti Zooprofilattici ).
La selezione dei mutanti resistenti potrebbe anche essere causata da un’assunzione non corretta dell’antibiotico da parte dell’animale. Non di rado accade che l’allevatore fornisca il farmaco sotto-dosato o non rispetti gli intervalli tra i successivi cicli di somministrazione o,peggio ancora, sospenda precocemente la terapia antibiotica.

Ovviamente tutto quello che ho scritto,si intenda bene,non vuole essere un incitamento all’uso di antibiotici,ma l’esatto opposto:visto che comunque si usano,almeno lo si faccia con cognizione di causa.

Stefano Pompilio

 

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